Mio nonno mi ripeteva sempre:

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"...Il calcio è peggio di un' amante, perché di lei ci si stanca, dello sport mai."

...come dargli torto?

domenica 17 gennaio 2016

Tesi Finale Corso Prep. Atl. Professionisti: "SVILUPPO DELLA POTENZA AEROBICA NEL CALCIATORE ATTRAVERSO IL LAVORO INTERMITTENTE"

di Stefano Scudero, Prep. Atl. Professionista

1) Introduzione

Nell’analisi della prestazione sportiva nel gioco del calcio, tra i diversi fattori che la influenzano, quello dell'impegno fisico, parametro fondamentale, ha subito, nel corso degli ultimi decenni, un importante mutamento dacché si è posta molta attenzione all’analisi dell’attività svolta dai calciatori durante una partita onde individuarne in maniera più dettagliata l’impegno. Di conseguenza è aumentata l'attenzione nei confronti dello studio del modello di prestazione specifico di questa disciplina sportiva, anche tramite il coinvolgimento di nuove tecnologie quale il sistema informatizzato della video match-analysis.
E' ormai noto che la performance fisica dei calciatori si è notevolmente evoluta nel corso degli anni. La distanza totale percorsa da un giocatore nel corso di una partita è aumentata da 7000-8000 m negli anni settanta (Reilly and Thomas, 1977) agli attuali 10000-11000 m (+40%) (Bradley et al., 2013). Della distanza totale circa 2200-2400 m (22-24%) sono percorsi ad alta intensità (velocità di corsa maggiore di 15.0 km·h-1 ), 850-950 m (8-9%) sono percorsi ad intensità molto alta (velocità di corsa maggiore di 19.8 km·h-1 ) e 250-350 m (2-3%) sono coperti sprintando (velocità di corsa maggiore di 25.0 km·h -1 ) (Rampinini et al., 2007b). La tipologia di esercizio che i calciatori effettuano è intermittente, infatti i giocatori cambiano attività mediamente ogni 4-6 s arrivando ad effettuare, nel corso di una partita, circa 1300 diversi tipi di attività di cui circa 200 ad alta intensità (Mohr et al., 2003). Oltre alle fasi di corsa, sono presenti numerose altre attività che tendono ad aumentare il dispendio energetico e l’impegno muscolare come ad esempio: i contrasti, i colpi di testa, le fasi di conduzioni del pallone, i lanci e i passaggi.
L’intensità media delle partite, in termini di percentuale del massimo consumo di ossigeno (VO2max) è di 70-80% con una frequenza cardiaca media (in termini di percentuale della frequenza cardiaca massima, FCmax) di circa 85% (Helgerud et al., 2001; Impellizzeri et al., 2006). Data la natura intermittente dello sport, il contributo anaerobico è significativo nel corso delle fasi più intense del match (Krustrup et al., 2006). Infine, l’impegno muscolare che richiede il gioco del calcio (in particolare quello di tipo eccentrico) influenza negativamente anche la capacità di sviluppare la massima forza e/o potenza. Questo elemento è una delle evidenze che conferma lo stato di fatica dei giocatori nel corso delle partite (Mohr et al., 2005).
La prestazione fisica del calciatore nel corso di una partita infatti, in modo particolare la capacità di effettuare lavoro svolto ad alta intensità, non è costante, infatti questa tende a deteriorarsi tra primo e secondo tempo o tra primo e l'ultimo quarto d'ora di gioco. Infatti, in genere i calciatori mostrano una riduzione delle quantità della distanza totale percorsa dell'ordine del 2-3% e una riduzione di corsa effettuata ad alta intensità del 10-11% e una riduzione della performance di sprint del 10- 15%. Il motivo principale per cui la performance fisica del calciatore cala nel corso della partita sembra essere l'insorgenza della fatica che si verifica nel corso di un incontro.

2) La fatica nel calcio
In uno sport in cui la performance deve essere mantenuta per un periodo di tempo lungo (90 minuti), la fatica è rappresentata dall’incapacità dei giocatori di sostenere l’intensità richiesta per tutto il tempo di esercizio. Nel calcio è possibile distinguere almeno tre tipologie di fatiche: quella di tipo transitorio che si genera a seguito delle fasi più impegnative del match, quella nella fase finale della partita e quella di tipo permanente, ovvero quella che persiste nelle ore o nei giorni successivi al termine dell’incontro (Mohr et al., 2005). La fatica di tipo transitorio è quella che si genera a seguito delle fasi più intense della partita. Inoltre la capacità di effettuare sprint ripetuti risulta peggiorata dopo aver svolto un breve periodo di lavoro ad alta intensità (Krustrup et al., 2006). Si può arrivare a concludere che i calciatori attraversino dei momenti di fatica transitoria durante la partita. Quali siano le cause di questa riduzione di performance non è ancora del tutto chiaro. Resta il fatto che, durante queste fasi, il meccanismo anaerobico risulta essere marcatamente attivato. Infatti, recentemente sono stati misurati livelli di lattato e di pH muscolare anche quattro volte superiori a quelli basali (Krustrup et al., 2006b). L’acidità muscolare non è certamente l’unica causa che porta a fatica muscolare, tuttavia sono state individuate moderate correlazioni tra l’accumulo di lattato e il deterioramento della performance di sprint durante la partita. D’altra parte è noto che alti livelli di lattato e bassi livelli di pH interferiscono nella contrazione muscolare (Fitts, 1994). Quando si effettua un esercizio intenso e relativamente breve (alcuni minuti), si registra un marcato accumulo di potassio (K+ ) nello spazio interstiziale (~ 12 mmol·l -1 ). Un accumulo così elevato di K + induce un elevato disturbo elettrolitico; a sua volta, questa alterazione porta ad una depolarizzazione del potenziale della membrana muscolare e una conseguente riduzione della capacità di produrre forza (Cairns and Dulhunty, 1995). L’accumulo di K + nello spazio interstiziale è certamente più marcato in presenza di un pH basso, quindi in sforzi dove è presente un grosso contributo del meccanismo anaerobico. E’ noto che la capacità di effettuare lavoro ad alta intensità da parte dei calciatori risulta diminuita nel corso del secondo tempo se confrontata con quella del primo (Bangsbo, 1994b; Mohr et al., 2003). In particolare, la riduzione di performance nel secondo tempo sembra legata alla quantità di lavoro svolto ad alta intensità nel primo tempo (Rampinini et al., 2007). Ovviamente è molto più frequente assistere ad una riduzione della capacità prestativa quando già nel primo tempo è stata effettuata una grossa mole di lavoro. Al contrario, si può registrare anche un incremento del lavoro svolto ad alta intensità nel secondo tempo se la prima parte di partita è risultata essere meno impegnativa (Rampinini et al., 2007). La capacità di effettuare lavoro ad alta intensità risulta marcatamente diminuita nella fase finale della partita (Bangsbo, 1994; Mohr et al., 2003).

3) Considerazioni
Sulla base del modello prestativo fin qui analizzato, diviene quindi di fondamentale importanza mettere il calciatore in condizione, con l'allenamento, di compiere azioni ad alta intensità il più a lungo possibile in maniera tale da fargli mantenere la sua capacità prestativa.

La Potenza Aerobica diventa fondamentale per spostare in avanti il punto critico dell'instaurarsi del fenomeno della fatica.

Per Potenza Aerobica s'intende la capacità di utilizzare grande quantità di ossigeno nell'unità di tempo (Arcelli).
Ovviamente, soprattutto se un giocatore arriva da un periodo di lavoro ridotto o nullo di alcune settimane (come succede dopo la pausa tra la fine del campionato e l'inizio del precampionato successivo), la creazione di una buona base aerobica nasce da una giusta progressione; in questo caso sono da prediligere dei blocchi di lavoro effettuati intorno alla velocità di soglia anaerobica che migliorino la stessa soglia anaerobica e che inducano la creazione di un buon livello aerobico, (ovvero a parità di velocità, una minore produzione di lattato).
In secondo luogo occorre migliorare la capacità di sopportare la capacità di acidificazione di un muscolo con conseguente ph più basso, abituando il muscolo a lavorare anche con un grado di acidità maggiore di quella basale. I mezzi che si utilizzano per allenare la Potenza Aerobica sono l'intervallato e l'intermittente. 
Per lavoro intermittente s'intendono lavori maggiori ad 1 min ad intensità superiori a V02 Max / Vam
Per lavoro Intervallato s'intendono lavori da 2 a 6 minuti ad intensità sopra soglia lattacida.

4) L' Intermittente corsa come mezzo di allenamento della Potenza Aerobica
Per lavoro intermittente corsa, si intende un tipo di attività in cui vi è un susseguirsi di alcune fasi di esercizio costanti o variabili che sono intervallate da fasi di riposo o da fasi di esercizio ad intensità minore. Trattasi quindi di un tipo di corsa che prevede delle variazioni di velocità a periodi ben definiti.
La copertura energetica è soprattutto caratterizzata da un funzionamento ben particolare, quello del meccanismo intramuscolare del trasferimento d'ossigeno da parte della Mioglobina, proteina capace di cedere l'ossigeno e ricaricarsi velocemente, ma allo stesso tempo, data la sua capacità ridotta, ha un funzionamento limitato.
Inoltre è un tipo di lavoro che mira principalmente allo sviluppo del sistema di trasporto e di utilizzazione dell'ossigeno senza sollecitare troppo l'intervento del sistema lattacido.
Gli intermittenti che potremmo definire come "classici" sono: il 10’’- 10’’, il 20’’-20’’ ed il 30’’-30’’; da qui tutte le varianti a seconda delle esigenze del preparatore.
In particolare nel calcio vengono ritenute più attinenti alla realtà di gioco le seguenti varianti: il 15-15, il 20-20, il 10-20 ed il 15-30 (Cometti, 1995). Sostanzialmente si tratta quindi di effettuare un periodo di corsa ad alta intensità, superiore alla Velocità Aerobica Massimale (VAM), seguito da un successivo periodo in cui la velocità di corsa è ridotta generalmente ad un ritmo pari a circa il 60-65% della VAM, denominata Velocità di Recupero Attivo (VRA).

Per VAM si intende la minima velocità al quale viene raggiunto il VO 2
Max o Massima potenza Aerobica durante un esercizio a carichi crescenti ed è un parametro che viene utilizzato per impostare le intensità di allenamento volte appunto a migliorare il VO2 Max quindi la Potenza Aerobica Massima.
Il VO2 Max viene raggiunto sempre ad un intensità di esercizio superiore a quella corrispondente della soglia anaerobica. 
Questo tipo di lavoro, l'intermittente, corrisponde allo sforzo fatto in partita dal calciatore ed incide sia sul miglioramento della potenza aerobica che sulle qualità muscolari, offrendo maggiori vantaggi rispetto al lavoro continuo.
I vantaggi dell’intermittente sono fondamentalmente i seguenti:
Principalmente durante la modalità di corsa intermittente, soprattutto se svolta ad alta intensità, la frequenza cardiaca aumenta in modo repentino durante la fase di sforzo intenso, né riesce a stabilizzarsi durante la breve pausa di lavoro svolto a bassa intensità, raggiungendo in tal modo una sorta di plateau. Per questo motivo l’intermittente svolto ad alta intensità aumenta il VO2 max, (che con molta verosimiglianza possiamo definire come la "cilindrata" del nostro “motore aerobico”) e quindi la potenza aerobica in modo più cospicuo di quanto non si riesca a fare con il lavoro continuo (Gorostiaga e coll., 1991).
Inoltre l’intermittente, rispetto al lavoro continuo, permette di trascorrere un tempo maggiore a VO2 max, il che, in buona sostanza, ci permette di mantenere per un tempo maggiore il nostro "motore aerobico" al massimo dei giri (Billat e coll., 2000).
Secondo altri Autori, inoltre, l’intermittente, si rivelerebbe non solo un’ottima metodica rivolta all’aumento della potenza aerobica, ma aumenterebbe anche la performance di corta durata svolta ad alta intensità. Da ciò possiamo dedurre il suo interesse come metodica di lavoro per l’aumento della resistenza specifica nel calcio (Gaiga e Docherty, 1995). Ma anche da un punto di vista prettamente muscolare, questo tipo di lavoro presenta un indubbio interesse. Il recupero muscolare, seppure incompleto, che si verifica durante la fase di corsa svolta a VAR, ossia a bassa intensità, permette alle fibre a contrazione rapida, un parziale recupero, mettendole quindi in grado di svolgere, durante la successiva fase di alta intensità, un lavoro qualitativamente migliore (Cometti, 1995).
Tutti questi motivi, sia di ordine centrale (ossia legati all’aspetto della resistenza organica), che periferico (ossia riguardante la resistenza muscolare specifica), rendono l’intermittente un lavoro molto interessante e soprattutto altamente specifico nell’ambito della preparazione atletica del calcio.

5) Fisiologia del Lavoro Intermittente
Nell'esercizio intermittente l'energia non proviene solo dall' ossigeno che giunge dalla grande circolazione, ma anche dalla glicolisi anaerobica che porta alla produzione di acido lattico, dai depositi locali di ATP e fosfocreatina e, come detto, dall'ossigeno legato alla migolobina.
Secondo Gacon, la mioglobina è da considerarsi la chiave di volta funzionale dell'allenamento intermittente, in quanto proteina muscolare che cede e recupera l'ossigeno da uso locale. Essa è contenuta nelle fibre muscolari, specie in quelle di tipo 1 (fibre rosse) e trasporta l'ossigeno giunto all'interno della fibra (che si lega alla mioglobina) fino ai mitocondri, vale a dire là dove sarà utilizzato per formare ATP. Inoltre una certa quantità di ossigeno si trova già legata alla mioglobina all'interno delle fibre muscolari, quindi non è solo una “navetta” che trasporta ossigeno ma anche un serbatoio di ossigeno che si trova già presente nella fibra presso i mitocondri ed è, dunque, di pronto uso.
Nel corso dei momenti d'impegno del lavoro intermittente, l'ossigeno utilizzato dai muscoli non può derivare totalmente dalla circolazione, in parte, ed in parte infatti, esso è ceduto ai muscoli dalla mioglobina. Nel corso della successiva fase di recupero, la mioglobina riesce a caricarsi nuovamente di ossigeno. Quindi è una proteina capace di cedere e riassumere ossigeno. Anche se è limitato dalla sua capacità, questo meccanismo periferico della mioglobina, come già detto, permette di alimentare immediatamente i muscoli in attività precedendo il normale rifornimento derivante dalla grande circolazione, i cui ritardi d'intervento non sarebbero compatibili con una risposta immediata. Ciò, nonostante alcuni limiti, permette ai muscoli di lavorare a lungo ad alto regime aerobico limitando così una produzione di lattato (Gacon 1993) in quanto, permettendo un'alimentazione istantanea dei muscoli attivi, evita che si sconfini in un regime lattacido, anche se l'esercizio è svolto ad una intensità maggiore rispetto alla VAM. Nella fase di recupero non solo si avrà una ricarica dell’ ossigeno da parte della mioglobina ma anche un parziale pagamento dei debiti d'ossigeno contratti nella fase precedente. Molto probabilmente, nelle fasi di recupero, grazie anche alla minore richiesta di energia e alla maggiore disponibilità di ossigeno, una parte di lattato non uscito dalle fibre produttrici può essere smaltita.
Quindi, nel lavoro intermittente che alterna brevi momenti di lavoro a fasi di riposo ben definite, la concentrazione di lattato può mantenersi a livelli contenuti.
L'interesse principale del lavoro intermittente è di poter mantenere a lungo il consumo di ossigeno più vicino al suo livello massimale per tutta la durata dell'esercizio senza sollecitare notevolmente il metabolismo lattacido (Gagon 1993).

6) Le Variabili del lavoro Intermittente: evidenze.
L'allenamento della Potenza Aerobica attraverso la metodica Intermittente, va sviluppato prendendo in esame le sue variabili.
In particolare, modulando le sue variabili, è possibile incrementare o diminuirne l'intensità della proposta. Quindi necessita una corretta programmazione.
L'intermittente ha più variabili: può essere fatto in linea o con cambi di direzione, con recupero attivo o passivo.
Prendendo in esame uno studio di Dellal et al., 2009: “Physiologic effects of directional changes in intermittente exercise in soccer players” effettuato su 10 calciatori dilettanti di alto livello, dove veniva preso in esame un 30”-30” 15”-15” 10”-10” a diverse intensità: (figura)

si possono valutare le risposte per quanto riguarda la frequenza cardiaca: 



Si evincono maggiori differenze su 30”-30” in termini di percentuale di frequenza cardiaca, in quanto, nel corso dei 30” , c'erano tre cambi di direzione su una distanza prefissata e quindi un lavoro un po’ più lungo, con più cambi di direzione (3) e con costo di FC più alto.
Si possono ulteriormente valutare anche le quantità di lattato, che risulta maggiore in tutte e tre le modalità e che fa quindi presupporre un maggior intervento muscolare:

così come, a livello di percezione della fatica (RPE), si è avuta una percezione maggiore. Ciò testimonia un intervento muscolare superiore:

Si e' parlato in merito a modulare le variabili a seconda di una corretta programmazione, e dunque, sulla base di quanto visto pocanzi, modulando ad esempio la variabile del cambio di direzione rispetto al lavoro in linea, posso individualizzare l'allenamento: Ho fatto una partita faticosa? Meglio scegliere un lavoro in linea perché meno intenso. Non ho giocato? Scelgo un lavoro con cambi di direzione. In linea quindi risulta essere un lavoro più aerobico , mentre, con i cambi di direzione , risulta un lavoro più specifico.
Altra variabile che si può evidenziare è il Recupero attivo rispetto a quello passivo. Prendendo in esame un altro studio di Dupont et al., 2003: “Performance for short intermittente runs: active recovery vs. passive recovery”, la cosa che salta all'occhio è che, durante un 30”-30” con recupero passivo ed un 30''-30'' con recupero attivo, la FC del primo risulta essere del 77% rispetto alla massima, mentre, nel secondo caso, è dell'85%. Quindi si presuppone che, con un recupero attivo, probabilmente l'intensità dell’ esercizio rimanga più alta.

In generale, riassumendo a riguardo delle Variabili, per quelle che sono le evidenze, va detto che si può modulare l'intensità modulando la percentuale della VAM a cui il lavoro viene svolto .
Sulla durata delle proposte, invece, ci sono poche evidenze, così come, sugli effetti del 15''-15'' rispetto al 20''-20'' o al 30''-30'', non sii sono effettuati studi. 
Evidenze quindi ve ne sono sul rapporto del recupero (10-20, 15-30) e sul tipo di recupero (Attivo o Passivo) nonché sulla modalità di esecuzione (con cambi di direzione o in linea).

7) Differente percentuale della VAM
Come si è già in precedenza detto, l'interesse principale del lavoro intermittente è di poter mantenere a lungo il consumo di ossigeno più vicino al suo livello massimale per la durata dell'esercizio, senza sollecitare notevolmente il metabolismo lattacido (Gagon 1993).
Ma è pure da considerare se si tratti di un lavoro lattacido o sostanzialmente aerobico.
Colli et al., 1997, sostenevano che vi fosse una scarsa produzione di lattato (4-6 mmol. l-1) dovuta alla fase di lavoro relativamente corta durante questi tipi di esercitazioni; ma il fatto stesso che l’intermittente, se svolto ad un intensità corretta, permetta di svolgere globalmente una grossa mole di lavoro ad intensità pari al VO2 max o superiore, smentirebbe già questa ipotesi.
Ma v’è un’altra considerazione da fare: si è abituati a ritenere il valore
di produzione di lattato di 4. mmol .l-1come il "punto di non ritorno", al di là del quale si scivola inesorabilmente verso il meccanismo anaerobico lat- tacido. In realtà, neppure questo principio è del tutto esatto, in quanto sarebbe più corretto dire che siamo in regime aerobico sino a quando la quota di lattato prodotta rimane in equilibrio con quella di lattato smaltita (Steady State).
Queste considerazioni sono state prese in esame da Bisciotti in uno studio su 10 calciatori che hanno effettuato tre tipi diversi di intermittente: 10’’/10’’, 20’’/20’’ e 30’’/30’’, a diverse intensità di lavoro, parametrizzate sulla loro VAM, con un prelievo di sangue per determinare la concentrazione di lattato a metà e alla fine di ogni esercitazione. E' stata quindi ritenuta valida l'ipotesi secondo la quale, se la differenza di lattato prodotto non eccedeva di 1 mmol/min, il lavoro veniva considerato aerobico, in caso contrario poteva ritenersi un’esercitazione lattacida (Bisciotti 2002).
Per essere ancora più precisi, esiste, a proposito di questo concetto, un "range di tolleranza" di 1 mmol . l-1; possiamo quindi dire di essere ancora in regime aerobico quando tra la produzione di lattato registrata all’inizio dell’esercitazione e quella riscontrata alla fine della stessa, la differenza non eccede appunto il valore di 1 mmol . l-1(Heck e coll., 1984). Pertanto, per dare risposta a queste domande, Bisciotti condusse un accorto lavoro di ricerca concernente, in particolare, i quesiti: sino a quale intensità il lavoro l’intermittente sia da considerarsi come essenzialmente aerobico e da quale intensità in poi sconfini nell’ambito anaerobico lattacido. Ed ancora, sempre nell’ambito del lavoro intermittente: se a diverse intensità di lavoro corrispondano diversi tipi di adattamento fisiologico.
Lo studio, come già detto, venne effettuato su 10 calciatori con tre diversi tipi di intermittente a diverse intensità di VAM, precedentemente determinata attraverso un test specifico. Le intensità adottate erano pari al 100, 105, 110 e 115% della VAM stessa. Il tempo totale di lavoro era complessivamente di 12 minuti nel caso della intensità del 100, 105 e 110 % e solamente di 8 minuti (considerata l’alta intensità di lavoro) per l’esercitazione svolta al 115% della VAM. Veniva prelevato, come s'è detto, un campione di sangue derminando la concentrazione di lattato a metà ed alla fine di ogni esercitazione. Tenuta, dunque, valida l’ipotesi secondo la quale, se la differenza di lattato prodotto non eccedeva 1 mmol . l-1 il lavoro veniva considerato aerobico, in caso contrario l’esercitazione poteva essere ritenuta lattacida.
I risultati furono quelli di cui alle segg. Tabelle:
Come si può osservare, i dati sono molto coerenti: maggiore è la velocità di percorrenza, più massiccia diviene la produzione di lattato e maggiormente aumenta la differenza tra il lattato prodotto durante la prima parte dell’esercitazione e quello riscontrabile alla fine.

Quindi possiamo già fare due prime importanti considerazioni:
La produzione di lattato durante l’esercizio intermittente effettuato ad alta intensità (soprattutto dal 105 % della VAM in poi) comporta una forte produzione di lattato che va ben al di la di quella ipotizzata da altri studi precedenti.
Utilizzare diverse intensità di corsa comporta diversi "impatti fsiologici"; in altre parole i meccanismi energetici che vengono sollecitati effettuando un intermittente 10"-10" al 100% della VAM non sono certamente gli stessi che vengono chiamati in causa durante un 10"-10" svolto al 115 % della VAM.
Se osserviamo più attentamente i valori riportati nelle varie tabelle, possiamo notare come la differenza tra il lattato prodotto sino a metà dell’esercizio e quello registrato alla fine dello stesso, sia inferiore ad 1 mmol . l-1, per tutte le intensità di corsa considerate, quando l’intensità è pari al 100 % della VAM, la differenza poi sale mediamente a quasi a 2 mmol . l-1( 1.82 ± 0.06) quando l’intensità dell’esercizio passa al 105 % della VAM, per poi salire ulteriormente a praticamente 3 mmol . l-1 ( 2.99 ± 1) nel caso di VAM pari al 110 % , per attestarsi infine a circa 4 mmol .
l-1 (3.7 ± 1) durante l’ultimo tipo di esercitazione effettuata, ossia ad un’intensità pari al 115% della VAM. Lo studio di Bisciotti ci porta, in base ai dati presi in considerazione, ad ottenere il seguente tipo di classificazione:

Commentando i risultati, ne consegue che:

- Ad intensità pari al 100 % della VAM tutti i tre tipi di modalità di frazionato effettuati sono da considerarsi come un mezzo di allenamento prettamente aerobico. Esso si presta, quindi, particolarmente bene, all’aumento della potenza aerobica di base, in regime di corsa specifica. Ottimo, ad esempio, nel periodo di preparazione, dove si tratti di consolidare la potenza aerobica di base prima di passare a lavori di maggiore intensità.
- Intensità pari al 105 % della VAM costituiscono se vogliamo una sorta di "transizione" tra le esercitazioni prettamente aerobiche e quelle che cominciano ad interessare, seppur ancora modestamente, il meccanismo anaerobico lattacido.

- Con intensità uguali al 110 % della VAM siamo in pieno regime anaerobico lattacido, soprattutto se utilizziamo tempi di lavoro piuttosto lunghi, 20’’-20’’ e 30’’-30’’ e quindi distanze relativamente elevate.

- Effettuare un 20’’-20’’ al 110% della VAM, per un atleta che abbia un valore di Velocità Aerobica Massimale uguale a 17 km/h, significa percorrere tratti di 104 metri. Queste esercitazioni quindi devono essere inserite in modo razionale nel piano di lavoro settimanale, e soprattutto non debbono essere collocate prima di una seduta anaerobica alattacida intensa (come ad esempio una seduta di lavoro per la velocità), pena un aumento del rischio di incidenti muscolari.
- E, per ultimo, intensità pari al 115 % della VAM comportano un’elevata sollecitazione del meccanismo anaerobico lattacido, ragione per cui per questo tipo di lavoro valgono ancor di più le considerazioni fatte per il lavoro svolto ad intensità del 110%.

Pertanto:

- Il lavoro intermittente è considerabile come essenzialmente aerobico sino ad intensità pari al 100 % della VAM.
- L’intensità "soglia" oltre la quale si verifica una sostanziale sollecitazione del meccanismo anaerobico lattacido è il 105 % della VAM.
- A diverse intensità di lavoro, corrispondono diversi tipi di adattamento fisiologico e possiamo, variando i parametri d’intensità e di durata del lavoro, sollecitare, in modo sostanzialmente diverso, sia il meccanismo aerobico che quello anaerobico lattacido.

8) Dal test alla costruzione del lavoro intermittente.
Come s’è visto, diverse sono le variabili da tenere in considerazione per quel che concerne la giusta modulazione e la risposta fisiologica che ne deriva quando un calciatore viene sottoposto ad un lavoro intermittente piuttosto che ad un altro.
Diventa però di primaria importanza l'intensità del lavoro quantificabile attraverso le diverse percentuali di VAM.
La VAM diviene quindi uno strumento indispensabile per pianificare un allenamento di tipo intermittente.
Essendo la VAM è la minima velocità alla quale viene raggiunto il VO2 Max, è utilizzata appunto per impostare le intensità di allenamento volte ad incrementare specificamente la massima potenza aerobica.
I test dai quali è possibile ricavare la VAM ad oggi, sono numerosi, data l'enormità di formule matematiche che nel corso del tempo sono state messe a punto per calcolare indirettamente la VAM.
A tal proposito però si deve tenere in considerazione che secondo molti autori la tipologia di alcuni test, ad esempio quelli effettuati a navetta, dato l'alto costo energetico, potrebbero portare a un precoce affaticamento che comporterebbe cosi un sottostimato valore (calcolato indirettamente con formule) del valore di VAM.
Alcuni esempi a tal riguardo possono essere la VAM ottenuta dal Test di Lèger o dallo Yo-Yo intermittent recovery test.

Il test per eccellenza per ottenere un corretto e reale valore di VAM è il Test di Gacon.

Trattasi di un test incrementale massimale di tipo intermittente presentato proprio da George Gacon nel 1994 da cui prende appunto il nome.

Il test prevede un alternanza di tratti di corsa della durata di 45'' con seguente recupero di 15''.

La velocità iniziale è di 10 Km/h, che corrisponde a un tratto di 125 mt. Dopo una pausa di 15'', si percorrono 6.25mt in più sempre in 45'' , con conseguente aumento della velocità di percorrenza (totale 131,25 mt pari a 10.5 Km/h), e così via fino a che l'atleta non riesce a coprire la distanza prevista in 45''. La velocità dell'ultima distanza percorsa correttamente corrisponderà alla VAM.

Una volta trovato il valore della VAM di ciascun atleta è possibile costruire una seduta intermittente:

Esempio: 15'' 15'' attivo al 105% della Vam 65% VRA (velocità di recupero attivo)

Per i 15'' effettuati al 105% si procederà in questo modo:
Considerando un valore di VAM di 17Km/h:

1- Portare in m/s il valore di VAM dai Km/h:

17000 (metri percorsi in 1h) / 3600 (secondi in 1 h) = 4,71 m/s

2- Per conoscere i mt che il nostro calciatore dovrà percorrere in un 15'' al 105% della VAM il calcolo sarà: (4,72 * 15) * 1,05 = 74,34mt.

Per calcolare i metri al 65% della VAM per quanto concerne il recupero attivo:

(4,72*15)*0,65 = 46,02 metri

Quindi l'atleta dovrà percorrere in 15'' 74,34 metri “forti” e 46,02 metri “lenti” nei 15'' di recupero attivo.

NB

Sarà utile suddividere i giocatori della squadra in 2-3 gruppi che abbiano all’incirca lo stesso valore di VAM, in quanto sarà molto difficile trovarlo uguale per tutta la squadra. 

Bibliografia
Bisciotti G.N. - Utilizziamo bene l'intermittente in Il nuovo Calcio 114:110-114, 2002
Bisciotti G.N. - Come salvarsi dal Terremoto in Il nuovo Calcio 106: 100-103, 2001 
Bisciotti G.N. - Come salvarsi dal Terremoto 2 in Il nuovo Calcio 126:112-117, 2003
Bisciotti G.N. - Facciamo due conti in Il Nuovo calcio 128:124-128, 2003
Rampinini Ermanno – L'allenamento ad alta intensità nel calcio in Scienza & Sport 10: 92-95
Ferretti Ferretto – Il calo nell'ultimo quarto d'ora in Scienza & Sport 1: 20-25
A.A. V.V. - L'allenamento Fisico nel calcio
Dupont et al., 2003: Performance for short intermittente runs: active recovery vs. passive recovery
Dellal et al., 2009: Physiologic effects of directional changes in  intermittente exercise in soccer players.

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