di
Stefano Scudero, Prep. Atl. Professionista
Nell’analisi
della prestazione sportiva nel gioco del calcio, tra i diversi
fattori che la influenzano, quello dell'impegno fisico, parametro
fondamentale, ha subito, nel corso degli ultimi decenni, un
importante mutamento dacché si è posta molta attenzione
all’analisi dell’attività svolta dai calciatori durante una
partita onde individuarne in maniera più dettagliata l’impegno. Di conseguenza è aumentata l'attenzione nei confronti dello studio
del modello di prestazione specifico di questa disciplina sportiva,
anche tramite il coinvolgimento di nuove tecnologie quale il sistema
informatizzato della video match-analysis.
E'
ormai noto che la performance fisica dei calciatori si è
notevolmente evoluta nel corso degli anni. La distanza totale
percorsa da un giocatore nel corso di una partita è aumentata da
7000-8000 m negli anni settanta (Reilly and Thomas, 1977) agli
attuali 10000-11000 m (+40%) (Bradley et al., 2013). Della distanza
totale circa 2200-2400 m (22-24%) sono percorsi ad alta intensità
(velocità di corsa maggiore di 15.0 km·h-1 ), 850-950 m (8-9%)
sono percorsi ad intensità molto alta (velocità di corsa maggiore
di 19.8 km·h-1 ) e 250-350 m (2-3%) sono coperti sprintando
(velocità di corsa maggiore di 25.0 km·h -1 ) (Rampinini et al.,
2007b). La tipologia di esercizio che i calciatori effettuano è
intermittente, infatti i giocatori cambiano attività mediamente
ogni 4-6 s arrivando ad effettuare, nel corso di una partita, circa
1300 diversi tipi di attività di cui circa 200 ad alta intensità
(Mohr et al., 2003). Oltre alle fasi di corsa, sono presenti numerose
altre attività che tendono ad aumentare il dispendio
energetico e l’impegno muscolare come ad esempio: i contrasti, i
colpi di testa, le fasi di conduzioni del pallone, i lanci e i
passaggi.
L’intensità
media delle partite, in termini di percentuale del massimo consumo di
ossigeno (VO2max) è di 70-80% con una frequenza cardiaca media (in
termini di percentuale della frequenza cardiaca massima, FCmax) di
circa 85% (Helgerud et al., 2001; Impellizzeri et al., 2006). Data la
natura intermittente dello sport, il contributo anaerobico è
significativo nel corso delle fasi più intense del match (Krustrup
et al., 2006). Infine, l’impegno muscolare che richiede il gioco
del calcio (in particolare quello di tipo eccentrico) influenza
negativamente anche la capacità di sviluppare la massima forza e/o
potenza. Questo elemento è una delle evidenze che conferma lo stato
di fatica dei giocatori nel corso delle partite (Mohr et al., 2005).
La
prestazione fisica del calciatore nel corso di una partita infatti,
in modo particolare la capacità di effettuare lavoro svolto ad alta
intensità, non è costante, infatti questa tende a deteriorarsi
tra primo e secondo tempo o tra primo e l'ultimo quarto d'ora di
gioco. Infatti, in genere i calciatori mostrano una riduzione delle
quantità della distanza totale percorsa dell'ordine del 2-3% e una
riduzione di corsa effettuata ad alta intensità del 10-11% e una
riduzione della performance di sprint del 10- 15%. Il motivo
principale per cui la performance fisica del calciatore cala nel
corso della partita sembra essere l'insorgenza della fatica che si
verifica nel corso di un incontro.
2)
La fatica nel calcio
In
uno sport in cui la performance deve essere mantenuta per un periodo
di tempo lungo (90 minuti), la fatica è rappresentata
dall’incapacità dei giocatori di sostenere l’intensità
richiesta per tutto il tempo di esercizio. Nel calcio è
possibile distinguere almeno tre tipologie di fatiche: quella di tipo
transitorio che si genera a seguito delle fasi più impegnative del
match, quella nella fase finale della partita e quella di tipo
permanente, ovvero quella che persiste nelle ore o nei giorni
successivi al termine dell’incontro (Mohr et al., 2005). La fatica
di tipo transitorio è quella che si genera a seguito delle fasi
più intense della partita. Inoltre la capacità di effettuare
sprint ripetuti risulta peggiorata dopo aver svolto un breve periodo
di lavoro ad alta intensità (Krustrup et al., 2006). Si può
arrivare a concludere che i calciatori attraversino dei momenti di
fatica transitoria durante la partita. Quali siano le cause di questa
riduzione di performance non è ancora del tutto chiaro. Resta il
fatto che, durante queste fasi, il meccanismo anaerobico risulta
essere marcatamente attivato. Infatti, recentemente sono stati
misurati livelli di lattato e di pH muscolare anche quattro volte
superiori a quelli basali (Krustrup et al., 2006b). L’acidità
muscolare non è certamente l’unica causa che porta a fatica
muscolare, tuttavia sono state individuate moderate correlazioni tra
l’accumulo di lattato e il deterioramento della performance di
sprint durante la partita. D’altra parte è noto che alti livelli
di lattato e bassi livelli di pH interferiscono nella contrazione
muscolare (Fitts, 1994). Quando si effettua un esercizio intenso e
relativamente breve (alcuni minuti), si registra un marcato accumulo
di potassio (K+ ) nello spazio interstiziale (~ 12 mmol·l -1 ). Un
accumulo così elevato di K + induce un elevato disturbo
elettrolitico; a sua volta, questa alterazione porta ad una
depolarizzazione del potenziale della membrana muscolare e una
conseguente riduzione della capacità di produrre forza (Cairns and
Dulhunty, 1995). L’accumulo di K + nello spazio interstiziale è
certamente più marcato in presenza di un pH basso, quindi in sforzi
dove è presente un grosso contributo del meccanismo
anaerobico. E’ noto che la capacità di effettuare lavoro ad alta
intensità da parte dei calciatori risulta diminuita nel corso del
secondo tempo se confrontata con quella del primo (Bangsbo, 1994b;
Mohr et al., 2003). In particolare, la riduzione di performance nel
secondo tempo sembra legata alla quantità di lavoro svolto ad alta
intensità nel primo tempo (Rampinini et al., 2007). Ovviamente è
molto più frequente assistere ad una riduzione della capacità
prestativa quando già nel primo tempo è stata effettuata una
grossa mole di lavoro. Al contrario, si può registrare anche un
incremento del lavoro svolto ad alta intensità nel secondo tempo se
la prima parte di partita è risultata essere meno impegnativa
(Rampinini et al., 2007). La capacità di effettuare lavoro ad alta
intensità risulta marcatamente diminuita nella fase finale della
partita (Bangsbo, 1994; Mohr et al., 2003).
3)
Considerazioni
Sulla
base del modello prestativo fin qui analizzato, diviene quindi di
fondamentale importanza mettere il calciatore in condizione, con
l'allenamento, di compiere azioni ad alta intensità il più a
lungo possibile in maniera tale da fargli mantenere la sua capacità
prestativa.
La
Potenza Aerobica diventa fondamentale per spostare in avanti il punto
critico dell'instaurarsi del fenomeno della fatica.
Per
Potenza Aerobica s'intende la capacità di utilizzare grande
quantità di ossigeno nell'unità di tempo (Arcelli).
Ovviamente,
soprattutto se un giocatore arriva da un periodo di lavoro ridotto o
nullo di alcune settimane (come succede dopo la pausa tra la fine del
campionato e l'inizio del precampionato successivo), la creazione di
una buona base aerobica nasce da una giusta progressione; in
questo caso sono da prediligere dei blocchi di lavoro effettuati
intorno alla velocità di soglia anaerobica che migliorino la stessa
soglia anaerobica e che inducano la creazione di un buon livello
aerobico, (ovvero a parità di velocità, una minore produzione di
lattato).
In
secondo luogo occorre migliorare la capacità di sopportare la
capacità di acidificazione di un muscolo con conseguente ph più
basso, abituando il muscolo a lavorare anche con un grado di acidità
maggiore di quella basale. I mezzi che si utilizzano per allenare la
Potenza Aerobica sono l'intervallato e l'intermittente.
Per
lavoro intermittente s'intendono lavori maggiori ad 1 min ad
intensità superiori a V02 Max / Vam
Per
lavoro Intervallato s'intendono lavori da 2 a 6 minuti ad intensità
sopra soglia lattacida.
4)
L' Intermittente corsa come mezzo di allenamento della Potenza
Aerobica
Per
lavoro intermittente corsa, si intende un tipo di attività in cui
vi è un susseguirsi di alcune fasi di esercizio costanti o
variabili che sono intervallate da fasi di riposo o da fasi di
esercizio ad intensità minore. Trattasi quindi di un tipo di corsa
che prevede delle variazioni di velocità a periodi ben definiti.
La
copertura energetica è soprattutto caratterizzata da un
funzionamento ben particolare, quello del meccanismo intramuscolare
del trasferimento d'ossigeno da parte della Mioglobina, proteina
capace di cedere l'ossigeno e ricaricarsi velocemente, ma allo stesso
tempo, data la sua capacità ridotta, ha un funzionamento limitato.
Inoltre
è un tipo di lavoro che mira principalmente allo sviluppo del
sistema di trasporto e di utilizzazione dell'ossigeno senza
sollecitare troppo l'intervento del sistema lattacido.
Gli
intermittenti che potremmo definire come "classici" sono:
il 10’’- 10’’,
il 20’’-20’’ ed il 30’’-30’’; da qui tutte le
varianti a seconda delle esigenze del preparatore.
In
particolare nel calcio vengono ritenute più attinenti alla realtà
di gioco le seguenti varianti: il 15-15, il 20-20, il 10-20 ed il
15-30 (Cometti, 1995). Sostanzialmente si tratta quindi di effettuare
un periodo di corsa ad alta intensità, superiore alla Velocità
Aerobica Massimale (VAM), seguito da un successivo periodo in cui la
velocità di corsa è ridotta generalmente ad un ritmo pari a circa
il 60-65% della VAM, denominata Velocità
di Recupero Attivo (VRA).
Per
VAM si intende la minima velocità al quale viene raggiunto il VO 2
Max
o Massima potenza Aerobica durante un esercizio a carichi crescenti
ed è un parametro che viene utilizzato per impostare le intensità
di allenamento volte appunto a migliorare il VO2 Max quindi la
Potenza Aerobica Massima.
Il
VO2 Max viene raggiunto sempre ad un intensità di esercizio
superiore a quella corrispondente della soglia anaerobica.
Questo
tipo di lavoro, l'intermittente, corrisponde allo sforzo fatto
in partita dal calciatore ed incide sia sul miglioramento della
potenza aerobica che sulle qualità muscolari, offrendo maggiori
vantaggi rispetto al lavoro continuo.
I
vantaggi dell’intermittente sono fondamentalmente i seguenti:
Principalmente
durante la modalità di corsa intermittente, soprattutto se svolta
ad alta intensità, la frequenza cardiaca aumenta in modo repentino
durante la fase di sforzo intenso, né riesce a stabilizzarsi
durante la breve pausa di lavoro svolto a bassa intensità,
raggiungendo in tal modo una sorta di plateau. Per questo motivo
l’intermittente svolto ad alta intensità aumenta il VO2 max,
(che con molta verosimiglianza possiamo definire come la "cilindrata"
del nostro “motore aerobico”) e quindi la potenza aerobica in
modo più cospicuo di quanto non si riesca a fare con il lavoro
continuo (Gorostiaga e coll., 1991).
Inoltre
l’intermittente, rispetto al lavoro continuo, permette di
trascorrere un tempo maggiore a VO2 max, il che, in buona
sostanza, ci permette di mantenere per un tempo maggiore il nostro
"motore aerobico" al massimo dei giri (Billat e coll.,
2000).
Secondo
altri Autori, inoltre, l’intermittente, si rivelerebbe non solo
un’ottima metodica rivolta all’aumento della potenza aerobica, ma
aumenterebbe anche la performance di corta durata svolta ad alta
intensità. Da ciò possiamo dedurre il suo interesse come metodica
di lavoro per l’aumento della resistenza specifica nel calcio
(Gaiga e Docherty, 1995). Ma anche da un punto di vista prettamente
muscolare, questo tipo di lavoro presenta un indubbio interesse. Il
recupero muscolare, seppure incompleto, che si verifica durante la
fase di corsa svolta a VAR, ossia a bassa intensità, permette alle
fibre a contrazione rapida, un parziale recupero, mettendole quindi
in grado di svolgere, durante la successiva fase di alta
intensità, un lavoro qualitativamente migliore (Cometti, 1995).
Tutti
questi motivi, sia di ordine centrale (ossia legati all’aspetto
della resistenza organica), che periferico (ossia riguardante la
resistenza muscolare specifica), rendono l’intermittente un lavoro
molto interessante e soprattutto altamente specifico nell’ambito
della preparazione atletica del calcio.
5)
Fisiologia del Lavoro Intermittente
Nell'esercizio
intermittente l'energia non proviene solo dall' ossigeno che giunge
dalla grande circolazione, ma anche dalla glicolisi anaerobica che
porta alla produzione di acido lattico, dai depositi locali di ATP e
fosfocreatina e, come detto, dall'ossigeno legato alla migolobina.
Secondo
Gacon, la mioglobina è da considerarsi la chiave di volta
funzionale dell'allenamento intermittente, in quanto proteina
muscolare che cede e recupera l'ossigeno da uso locale. Essa è
contenuta nelle fibre muscolari, specie in quelle di tipo 1 (fibre
rosse) e trasporta l'ossigeno giunto all'interno della fibra (che si
lega alla mioglobina) fino ai mitocondri, vale a dire là dove sarà
utilizzato per formare ATP. Inoltre una certa quantità di ossigeno
si trova già legata alla mioglobina all'interno delle fibre
muscolari, quindi non è solo una “navetta” che trasporta
ossigeno ma anche un serbatoio di ossigeno che si trova già
presente nella fibra presso i mitocondri ed è, dunque, di pronto
uso.
Nel
corso dei momenti d'impegno del lavoro intermittente, l'ossigeno
utilizzato dai muscoli non può derivare totalmente dalla
circolazione, in parte, ed in parte infatti, esso è ceduto ai
muscoli dalla mioglobina. Nel corso della successiva fase di
recupero, la mioglobina riesce a caricarsi nuovamente di ossigeno.
Quindi è una proteina capace di cedere e riassumere ossigeno.
Anche se è limitato dalla sua capacità, questo meccanismo
periferico della mioglobina, come già detto, permette di alimentare
immediatamente i muscoli in attività precedendo il normale
rifornimento derivante dalla grande circolazione, i cui ritardi
d'intervento non sarebbero compatibili con una risposta immediata.
Ciò, nonostante alcuni limiti, permette ai muscoli di lavorare a
lungo ad alto regime aerobico limitando così una produzione di
lattato (Gacon 1993) in quanto, permettendo un'alimentazione
istantanea dei muscoli attivi, evita che si sconfini in un regime
lattacido, anche se l'esercizio è svolto ad una intensità
maggiore rispetto alla VAM. Nella fase di recupero non solo si avrà
una ricarica dell’ ossigeno da parte della mioglobina ma anche un
parziale pagamento dei debiti d'ossigeno contratti nella fase
precedente. Molto probabilmente, nelle fasi di recupero, grazie anche
alla minore richiesta di energia e alla maggiore disponibilità di
ossigeno, una parte di lattato non uscito dalle fibre produttrici
può essere smaltita.
Quindi,
nel lavoro intermittente che alterna brevi momenti di lavoro a fasi
di riposo ben definite, la concentrazione di lattato può mantenersi
a livelli contenuti.
L'interesse
principale del lavoro intermittente è di poter mantenere a lungo il
consumo di ossigeno più vicino al suo livello massimale per tutta
la durata dell'esercizio senza sollecitare notevolmente il
metabolismo lattacido (Gagon 1993).
6)
Le Variabili del lavoro Intermittente: evidenze.
L'allenamento
della Potenza Aerobica attraverso la metodica Intermittente, va
sviluppato prendendo in esame le sue variabili.
In
particolare, modulando le sue variabili, è possibile incrementare o
diminuirne l'intensità della proposta. Quindi necessita una
corretta programmazione.
L'intermittente
ha più variabili: può essere fatto in linea o con cambi di
direzione, con recupero attivo o passivo.
Prendendo
in esame uno studio di Dellal et al., 2009: “Physiologic effects of
directional changes in intermittente exercise in soccer players”
effettuato su 10 calciatori dilettanti di alto livello, dove veniva
preso in esame un 30”-30” 15”-15” 10”-10” a diverse
intensità: (figura)
si
possono valutare le risposte per quanto riguarda la frequenza
cardiaca:
Si evincono maggiori differenze su 30”-30” in termini di percentuale di frequenza cardiaca, in quanto, nel corso dei 30” , c'erano tre cambi di direzione su una distanza prefissata e quindi un lavoro un po’ più lungo, con più cambi di direzione (3) e con costo di FC più alto.
Si evincono maggiori differenze su 30”-30” in termini di percentuale di frequenza cardiaca, in quanto, nel corso dei 30” , c'erano tre cambi di direzione su una distanza prefissata e quindi un lavoro un po’ più lungo, con più cambi di direzione (3) e con costo di FC più alto.
Si
possono ulteriormente valutare anche le quantità di lattato, che
risulta maggiore in tutte e tre le modalità e che fa quindi
presupporre un maggior
intervento muscolare:
così
come, a livello di percezione della fatica (RPE), si è avuta una
percezione maggiore. Ciò testimonia un intervento muscolare
superiore:
Si
e' parlato in merito a modulare le variabili a seconda di una
corretta programmazione, e dunque, sulla base di quanto visto
pocanzi, modulando ad esempio la variabile del cambio di direzione
rispetto al lavoro in linea, posso individualizzare l'allenamento: Ho
fatto una partita faticosa? Meglio scegliere un lavoro in linea
perché meno intenso. Non ho giocato? Scelgo un lavoro con cambi di
direzione. In linea quindi risulta essere un lavoro più aerobico ,
mentre, con i cambi di direzione , risulta un lavoro più specifico.
Altra
variabile che si può evidenziare è il Recupero attivo rispetto a
quello passivo. Prendendo in esame un altro studio di Dupont et al.,
2003: “Performance for short intermittente runs: active recovery
vs. passive recovery”, la cosa che salta all'occhio è che,
durante un 30”-30” con recupero passivo ed un 30''-30'' con
recupero attivo, la FC del primo risulta essere del 77% rispetto alla
massima, mentre, nel secondo caso, è dell'85%. Quindi si presuppone
che, con un recupero attivo, probabilmente l'intensità dell’
esercizio rimanga più alta.
In
generale, riassumendo a riguardo delle Variabili, per quelle che sono
le evidenze, va detto che si può modulare l'intensità modulando
la percentuale della VAM a cui il lavoro viene svolto .
Sulla
durata delle proposte, invece, ci sono poche evidenze, così come,
sugli effetti del 15''-15'' rispetto al 20''-20'' o al 30''-30'', non
sii sono effettuati studi.
Evidenze
quindi ve ne sono sul rapporto del recupero (10-20, 15-30) e sul tipo
di recupero (Attivo o Passivo) nonché sulla modalità di
esecuzione (con cambi di direzione o in linea).
7)
Differente percentuale della VAM
Come
si è già in precedenza detto, l'interesse principale del lavoro
intermittente è di poter mantenere a lungo il consumo di ossigeno
più vicino al suo livello massimale per la durata dell'esercizio,
senza sollecitare notevolmente il metabolismo lattacido (Gagon 1993).
Ma
è pure da considerare se si tratti di un lavoro lattacido o
sostanzialmente aerobico.
Colli
et al., 1997, sostenevano che vi fosse una scarsa produzione
di lattato (4-6 mmol. l-1) dovuta alla fase di lavoro
relativamente corta durante questi tipi di esercitazioni; ma il fatto
stesso che l’intermittente, se svolto ad un intensità corretta,
permetta di svolgere globalmente una grossa mole di lavoro ad
intensità pari al VO2 max o superiore, smentirebbe già
questa ipotesi.
Ma
v’è un’altra considerazione da fare: si è abituati a ritenere
il valore
di
produzione di lattato di 4. mmol .l-1come il "punto di non
ritorno", al di là del quale si scivola inesorabilmente verso
il meccanismo anaerobico lat- tacido. In realtà, neppure questo
principio è del tutto esatto, in quanto sarebbe più corretto
dire che siamo in regime aerobico sino a quando la quota di
lattato prodotta rimane in equilibrio con quella di lattato smaltita
(Steady State).
Queste
considerazioni sono state prese in esame da Bisciotti in uno studio
su 10 calciatori che hanno effettuato tre tipi diversi di
intermittente: 10’’/10’’, 20’’/20’’ e 30’’/30’’,
a diverse intensità di lavoro, parametrizzate sulla loro VAM, con
un prelievo di sangue per determinare la concentrazione di lattato a
metà e alla fine di ogni esercitazione. E' stata quindi ritenuta
valida l'ipotesi secondo la quale, se la differenza di lattato
prodotto non eccedeva di 1 mmol/min, il lavoro veniva considerato
aerobico, in caso contrario poteva ritenersi un’esercitazione
lattacida (Bisciotti 2002).
Per
essere ancora più precisi, esiste, a proposito di questo
concetto, un "range di tolleranza" di 1 mmol . l-1;
possiamo quindi dire di essere ancora in regime aerobico quando tra
la produzione di lattato registrata all’inizio dell’esercitazione
e quella riscontrata alla fine della stessa, la differenza non
eccede appunto il valore di 1 mmol . l-1(Heck e coll.,
1984). Pertanto, per dare risposta a queste domande, Bisciotti
condusse un accorto lavoro di ricerca concernente, in particolare, i
quesiti: sino a quale intensità il lavoro l’intermittente sia da
considerarsi come essenzialmente aerobico e da quale intensità in
poi sconfini nell’ambito anaerobico lattacido. Ed ancora, sempre
nell’ambito del lavoro intermittente: se a diverse intensità di
lavoro corrispondano diversi tipi di adattamento fisiologico.
Lo
studio, come già detto, venne effettuato su 10 calciatori con
tre diversi tipi di intermittente a diverse intensità di VAM,
precedentemente determinata attraverso un test specifico. Le
intensità adottate erano pari al 100, 105, 110 e 115% della
VAM stessa. Il tempo totale di lavoro era complessivamente di 12
minuti nel caso della intensità del 100, 105 e 110 % e solamente di
8 minuti (considerata l’alta intensità di lavoro) per
l’esercitazione svolta al 115% della VAM. Veniva prelevato, come
s'è detto, un campione di sangue derminando la concentrazione di
lattato a metà ed alla fine di ogni esercitazione. Tenuta, dunque,
valida l’ipotesi secondo la quale, se la differenza di lattato
prodotto non eccedeva 1 mmol . l-1 il lavoro veniva considerato
aerobico, in caso contrario l’esercitazione poteva essere ritenuta
lattacida.
I
risultati furono quelli di cui alle segg. Tabelle:
Come si può osservare, i dati sono molto coerenti: maggiore è la velocità di percorrenza, più massiccia diviene la produzione di lattato e maggiormente aumenta la differenza tra il lattato prodotto durante la prima parte dell’esercitazione e quello riscontrabile alla fine.
Come si può osservare, i dati sono molto coerenti: maggiore è la velocità di percorrenza, più massiccia diviene la produzione di lattato e maggiormente aumenta la differenza tra il lattato prodotto durante la prima parte dell’esercitazione e quello riscontrabile alla fine.
Quindi
possiamo già fare due prime importanti considerazioni:
La
produzione di lattato durante l’esercizio intermittente effettuato
ad alta intensità (soprattutto dal 105 % della VAM in poi) comporta
una forte produzione di lattato che va ben al di la di quella
ipotizzata da altri studi precedenti.
Utilizzare
diverse intensità di corsa comporta diversi "impatti
fsiologici"; in altre parole i meccanismi energetici che vengono
sollecitati effettuando un intermittente 10"-10" al 100%
della VAM non sono certamente gli stessi che vengono chiamati in
causa durante un 10"-10" svolto al 115 % della VAM.
Se
osserviamo più attentamente i valori riportati nelle varie tabelle,
possiamo notare come la differenza tra il lattato prodotto sino a
metà dell’esercizio e quello registrato alla fine dello stesso,
sia inferiore ad 1 mmol . l-1, per tutte le intensità di
corsa considerate, quando l’intensità è pari al 100 % della
VAM, la differenza poi sale mediamente a quasi a 2 mmol . l-1(
1.82 ± 0.06) quando l’intensità dell’esercizio passa al 105
% della VAM, per poi salire ulteriormente a praticamente 3 mmol
. l-1 ( 2.99 ± 1) nel caso di VAM pari al 110 % , per
attestarsi infine a circa 4 mmol .
l-1 (3.7
± 1) durante l’ultimo tipo di esercitazione effettuata, ossia ad
un’intensità pari al 115% della VAM. Lo studio di Bisciotti
ci porta, in base ai dati presi in considerazione, ad ottenere
il seguente tipo di classificazione:
-
Ad intensità pari al 100 % della VAM tutti i tre tipi di modalità
di frazionato effettuati sono da considerarsi come un mezzo di
allenamento prettamente aerobico. Esso si presta, quindi,
particolarmente bene, all’aumento della potenza aerobica di base,
in regime di corsa specifica. Ottimo, ad esempio, nel periodo di
preparazione, dove si tratti di consolidare la potenza aerobica di
base prima di passare a lavori di maggiore intensità.
-
Intensità pari al 105 % della VAM costituiscono se vogliamo una
sorta di "transizione" tra le esercitazioni prettamente
aerobiche e quelle che cominciano ad interessare, seppur ancora
modestamente, il meccanismo anaerobico lattacido.
-
Con intensità uguali al 110 % della VAM siamo in pieno regime
anaerobico lattacido, soprattutto se utilizziamo tempi di lavoro
piuttosto lunghi, 20’’-20’’ e 30’’-30’’ e quindi
distanze relativamente elevate.
-
Effettuare un 20’’-20’’ al 110% della VAM, per un atleta che
abbia un valore di Velocità Aerobica Massimale uguale a 17 km/h,
significa percorrere tratti di 104 metri. Queste esercitazioni quindi
devono essere inserite in modo razionale nel piano di lavoro
settimanale, e soprattutto non debbono essere collocate prima di una
seduta anaerobica alattacida intensa (come ad esempio una seduta di
lavoro per la velocità), pena un aumento del rischio di incidenti
muscolari.
-
E, per ultimo, intensità pari al 115 % della VAM comportano
un’elevata sollecitazione del meccanismo anaerobico lattacido,
ragione per cui per questo tipo di lavoro valgono ancor di più le
considerazioni fatte per il lavoro svolto ad intensità del 110%.
Pertanto:
-
Il lavoro intermittente è considerabile come essenzialmente
aerobico sino ad intensità pari al 100 % della VAM.
-
L’intensità "soglia" oltre la quale si verifica una
sostanziale sollecitazione del meccanismo anaerobico lattacido è il
105 % della VAM.
-
A diverse intensità di lavoro, corrispondono diversi tipi di
adattamento fisiologico e possiamo, variando i parametri d’intensità
e di durata del lavoro, sollecitare, in modo sostanzialmente diverso,
sia il meccanismo aerobico che quello anaerobico lattacido.
8)
Dal test alla costruzione del lavoro intermittente.
Come
s’è visto, diverse sono le variabili da tenere in considerazione
per quel che concerne la giusta modulazione e la risposta fisiologica
che ne deriva quando un calciatore viene sottoposto ad un lavoro
intermittente piuttosto che ad un altro.
Diventa
però di primaria importanza l'intensità del lavoro quantificabile
attraverso le diverse percentuali di VAM.
La
VAM diviene quindi uno strumento indispensabile per pianificare un
allenamento di tipo intermittente.
Essendo
la VAM è la minima velocità alla quale viene raggiunto il VO2
Max, è utilizzata appunto per impostare le intensità di
allenamento volte ad incrementare specificamente la massima potenza
aerobica.
I
test dai quali è possibile ricavare la VAM ad oggi, sono numerosi,
data l'enormità di formule matematiche che nel corso del tempo sono
state messe a punto per calcolare indirettamente la VAM.
A
tal proposito però si deve tenere in considerazione che secondo
molti autori la tipologia di alcuni test, ad esempio quelli
effettuati a navetta, dato l'alto costo energetico, potrebbero
portare a un precoce affaticamento che comporterebbe cosi un
sottostimato valore (calcolato indirettamente con formule) del valore
di VAM.
Alcuni
esempi a tal riguardo possono essere la VAM ottenuta dal Test di
Lèger o dallo Yo-Yo intermittent recovery test.
Il
test per eccellenza per ottenere un corretto e reale valore di VAM è
il Test di Gacon.
Trattasi
di un test incrementale massimale di tipo intermittente presentato
proprio da George Gacon nel 1994 da cui prende appunto il nome.
Il
test prevede un alternanza di tratti di corsa della durata di 45''
con seguente recupero di 15''.
La
velocità iniziale è di 10 Km/h, che corrisponde a un tratto di
125 mt. Dopo una pausa di 15'', si percorrono 6.25mt in più sempre
in 45'' , con conseguente aumento della velocità di
percorrenza (totale 131,25 mt pari a 10.5 Km/h), e così via fino a
che l'atleta non riesce a coprire la distanza prevista in 45''. La
velocità dell'ultima distanza percorsa correttamente corrisponderà
alla VAM.
Una
volta trovato il valore della VAM di ciascun atleta è possibile
costruire una seduta intermittente:
Esempio:
15'' 15'' attivo al 105% della Vam 65% VRA (velocità di recupero
attivo)
Per
i 15'' effettuati al 105% si procederà in questo modo:
Considerando
un valore di VAM di 17Km/h:
1-
Portare in m/s il valore di VAM dai Km/h:
17000
(metri percorsi in 1h) / 3600 (secondi in 1 h) = 4,71 m/s
2-
Per conoscere i mt che il nostro calciatore dovrà percorrere in un
15'' al 105% della VAM il calcolo sarà: (4,72 * 15) * 1,05 =
74,34mt.
Per
calcolare i metri al 65% della VAM per quanto concerne il recupero
attivo:
(4,72*15)*0,65
= 46,02 metri
Quindi
l'atleta dovrà percorrere in 15'' 74,34 metri “forti” e 46,02
metri “lenti” nei 15'' di recupero attivo.
NB
Sarà
utile suddividere i giocatori della squadra in 2-3 gruppi che abbiano
all’incirca lo stesso valore di VAM, in quanto sarà molto
difficile trovarlo uguale per tutta la squadra.
Bibliografia
Bisciotti G.N. - Utilizziamo bene l'intermittente in Il nuovo Calcio 114:110-114, 2002
Bisciotti G.N. - Come salvarsi dal Terremoto in Il nuovo Calcio 106: 100-103, 2001
Bisciotti G.N. - Utilizziamo bene l'intermittente in Il nuovo Calcio 114:110-114, 2002
Bisciotti G.N. - Come salvarsi dal Terremoto in Il nuovo Calcio 106: 100-103, 2001
Bisciotti G.N. - Come salvarsi dal Terremoto 2 in Il nuovo Calcio 126:112-117, 2003
Bisciotti G.N. - Facciamo due conti in Il Nuovo calcio 128:124-128, 2003
Rampinini Ermanno – L'allenamento ad alta intensità nel calcio in Scienza & Sport 10: 92-95
Ferretti Ferretto – Il calo nell'ultimo quarto d'ora in Scienza & Sport 1: 20-25
A.A. V.V. - L'allenamento Fisico nel calcio
Dupont et al., 2003: Performance for short intermittente runs: active recovery vs. passive recovery
Dellal et al., 2009: Physiologic effects of directional changes in intermittente exercise in soccer players.
Bisciotti G.N. - Facciamo due conti in Il Nuovo calcio 128:124-128, 2003
Rampinini Ermanno – L'allenamento ad alta intensità nel calcio in Scienza & Sport 10: 92-95
Ferretti Ferretto – Il calo nell'ultimo quarto d'ora in Scienza & Sport 1: 20-25
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Dellal et al., 2009: Physiologic effects of directional changes in intermittente exercise in soccer players.